Donne sull’orlo di una crisi di … welfare |
In Puglia diminuiscono le imprenditrici e le lavoratrici autonome (del: 18/11/2015)
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Donne sull’orlo di una crisi di … welfare. In Puglia diminuiscono le imprenditrici e le lavoratrici autonome. Se ne contano 95.027 (un anno fa erano 99.121). La flessione è di 4.094 unità, pari al 4 per cento.
L’imprenditoria femminile che in Puglia rappresenta il 22,4 per cento del totale delle donne occupate (425.102) è in calo, in controtendenza rispetto ai dati nazionali che evidenziano la ripresa del mercato del lavoro, trainato dalle donne, la cui percentuale è prossima al massimo storico registrato, con un tasso di occupazione femminile pari al 47,5 per cento (dato di agosto scorso).
E’ quanto rileva l’Osservatorio di Confartigianato «Donne-Impresa», rielaborato in chiave regionale dal Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia, su dati Istat e Unioncamere.
In particolare, sono 15.342 le donne pugliesi che ricoprono cariche nelle imprese artigiane, in flessione dello 0,9 per cento (un anno fa erano 15.485).
In Puglia, le titolari di aziende artigiane sono 9.811, di cui 6.258 operano nel macro-settore dei «Servizi alle persone» (pari al 63,8 per cento del dato complessivo), 2.509 nel «Manifatturiero» (25,6 per cento), 774 nei «Servizi alle imprese» (7,9 per cento), 241 nelle «Costruzioni» (2,5 per cento) e 29 in altri comparti (0,3 per cento).
In dettaglio, 6.385 operano nella provincia di Bari (pari al 41,6 del totale regionale), 3.472 in quella di Lecce (22,6 per cento), 2.049 in quella di Foggia (13,4 per cento), 1.809 in quella di Taranto (11,8 per cento) e 1.627 in quella di Brindisi (10,6 per cento).
Va segnalato che il welfare italiano non aiuta le donne imprenditrici e lavoratrici autonome a far nascere e crescere i figli. La spesa pubblica sostenuta dallo Stato Italiano per la famiglia, pari a 16,5 miliardi, è appena l’uno per cento del Prodotto interno lordo (Pil), a fronte degli interventi per gli anziani che, tra pensioni e spesa per la salute, corrispondono al 20 per cento del Pil. In pratica, per un euro speso a favore della famiglia se ne utilizzano 20 agli over 65.
Il basso livello di spesa per la famiglia colloca l’Italia al 22esimo posto tra i Paesi europei per la quantità di risorse dedicate a questo capitolo di interventi pubblici che, nella media dei Paesi europei, si attesta all’1,7 per cento del Pil. Al contrario, la spesa pubblica per anziani in Italia supera del 4,9 per cento la media europea che si attesta ad una quota pari al 15,1 per cento del Pil.
L’esigua quantità di spesa pubblica in servizi per la famiglia incide negativamente sulla natalità e penalizza la crescita di nuova auto-imprenditorialità femminile.
Secondo lo studio di Confartigianato, infatti, per le donne tra 25 e 44 anni senza figli il tasso di attività lavorativa è dell’82,1 per cento, ma scende al 63 per cento per le donne della stessa età con figli, con un gap di oltre il 19 per cento. Segno che lo Stato non offre quei servizi che consentono alle madri di conciliare il lavoro con la cura della famiglia. Infatti, il 42,7 per cento delle madri occupate segnala di avere difficoltà a coniugare l’attività professionale con gli impegni familiari. E per la cura dei figli si affidano soprattutto a reti di aiuto informale con il 51,4 per cento dei bambini con meno di due anni accudito dai nonni, mentre solo il 37,8 per cento frequenta un asilo nido. La baby-sitter viene scelta come modalità di affido prevalente soltanto dal 4,2 per cento delle madri lavoratrici.
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